Monti Volsci – Anima selvaggia del Lazio

I Monti Volsci, con i loro 95 km di estensione, sono la più grande catena del Lazio le cui massime elevazioni superano di poco i 1500 metri (Monte Semprevisa, 1536 m s.l.m.; Monte Petrella, 1533 m s.l.m.). Delimitata dai fiumi Sacco, Liri-Garigliano a nord est e dalle pianure costiere (Agro Romano, Pianura Pontina, Piana di Fondi) e il Mar Tirreno a sud ovest, la catena dei Monti Volsci comprende tre gruppi montuosi maggiori: i Monti Lepini, Ausoni e Aurunci.
Ma perchè considerarli un’unica catena a tutti gli effetti? Scopriamolo insieme.

Quali sono gli aspetti geologici comuni all’interno della catena dei Monti Volsci?

Gli aspetti geologici raccontano una storia ricchissima di peculiarità e possono essere descritti da diversi punti di vista che rispondono ai diversi campi della Geologia.
Risponderemo con il punto di vista della della Stratigrafia, della Geomorfologia, della
Vulcanologia e della Tettonica.

Stratigrafia

L’intera catena dei Monti Volsci è costituita da calcari della piattaforma tropicale Laziale-Abruzzese, un vasto insieme di enormi distese di mare basso lagunare con alcuni sparsi isolotti che ha mantenuto grossomodo questa forma nel corso del Mesozoico. Le rocce più antiche della Piattaforma Laziale-Abruzzese affiorano nel gruppo dei Monti Aurunci occidentali a Gaeta.
Nel Corso del Giurassico e del Cretaceo, questi ambienti si sono periodicamente adattati alla progressiva variazione del livello marino e della disposizione delle placche che nel corso del Cretaceo iniziavano a creare dei corridoi utili al passaggio dei dinosauri e rettili marini le cui tracce sono state scoperte a Sezze, Terracina, Esperia e Prossedi. In questo periodo, inoltre, abbondantissime erano le Rudiste (un ordine estinto di molluschi bivalvi), i cui resti possono essere osservati in tutta la catena.

Geomorfologia

Come mostra chiaramente la carta geografica fisica, i Monti Volsci sono un’unica catena montuosa costituita principalmente di carbonati, ossia di calcari e dolomie. Si tratta di rocce che con la loro progressiva dissoluzione ad opera delle piogge danno vita a paesaggi carsici meravigliosi tipici di questa catena.

Vulcanologia

La catena dei Monti Volsci è compresa tra i rilievi vulcanici dei Colli Albani a Nord-Ovest e Roccamonfina a Sud-Est che da circa 600.000 anni hanno invaso con colate pericolastiche le valli carsiche. Le più lontane sono state riempite soprattutto dal materiale si ricaduta. Oltre a questi depositi la catena ospita una serie di centri vulcanici molto piccoli, ma le cui radici sono estremamente profonde, che hanno dato luogo ad esplosioni freatomagmatiche che hanno lasciato tracce nell’intera catena Volsca (Valvisciolo, Prossedi, Pisterzo, Villa Santo Stefano, Patrica, Ceccano, Pofi, Roccagorga, Maenza, Giuliano di Roma, Morolo). Di questa attività resta il calore della terra e la risalita di gas vulcanici in alcune sorgenti sulfuree sulla fascia pedemontana Lepino-Ausona, a Suio e in zona Ferentino.

Tettonica

Un’ulteriore caratteristica che rende unici i Monti Volsci è data dalle dinamiche che
scandiscono tempi e modi della messa in posto delle varie unità tettoniche che hanno caratteri simili e storia geologica comune a tutta la dorsale dal settore settentrionale lepino a quelli meridionali dei gruppi aurunci.
I Monti Volsci per come li conosciamo oggi sono il prodotto del raccorciamento della crosta avvenuta nel corso del Miocene tra circa 12 e 5 milioni di anni in risposta alla subduzione della placca Adriatica al di sotto dell’Appennino. Nel corso del Pliocene, circa 4 milioni di anni fa, a seguito del collasso della catena Appenninica che insisteva in quella che ora è la piattaforma continentale tirrenica della nostra penisola, i Monti Volsci sono passati dalla compressione alla distensione come quella che colpisce l’intera catena appenninica. Nuove faglie profonde fino a oltre 10 km hanno dislocato i blocchi esasperando l’antica topografi innalzando così la catena rispetto alle sue valli.

Quali sono gli aspetti bio-ecologici comuni all’interno della catena dei Monti Volsci?

La biogeografia analizza la distribuzione nello spazio e nel tempo di fauna e flora, cercando
di individuare l’insieme di eventi geologici, climatici ed evolutivi che l’hanno determinata. I Monti Volsci hanno iniziato ad emergere dal mare nel corso del Miocene superiore, ed è a partire da questo periodo che sono stati colonizzati gradualmente dalla fauna e dalla flora che ora li popola.
Una caratteristica che li contraddistingue rispetto ad altre catene appenniniche è la compresenza di fitocenosi marcatamente mediterranee, distribuite su entrambi i versanti, e di elementi più tipicamente montani. Questo è da spiegarsi con la presenza di quote pienamente ascrivibili al piano Montano (1000-1500 m), e con la vicinanza della linea di costa, che nel corso del Messiniano e per parte del Pliocene ha circondato la catena su tuttii lati, grazie alla presenza di un golfo marino/lacustre nelle attuali valli Latina e Lirina, che ha così accentuato l’insularità del gruppo rispetto al territorio circostante e consentito l’espansione di elementi meridionali verso nord e verso l’interno. Alcuni esempi floristici di relitti terziari a carattere mediterraneo sono Centaura cineraria, Pimpinella lutea, Athamanta sicula e la purtroppo estinta Ambrosina bassii. Inoltre la presenza di golfi e bacini interni ha garantito un clima maggiormente “oceanico”, con la conseguente diffusione lungo la ripida linea di costa di endemismi floristici tirrenici rupicoli di grande valore, come Cymbalaria glutinosa, Campanula fragilis subsp. fragilis, Campanula tanfanii e soprattutto il rarissimo endemita laziale Campanula reatina. Successivamente, nel Pleistocene, periodi glaciali freddi si sono alternati a interglaciali caldi. In questa fase i monti Volsci hanno rappresentato a più riprese un’importante area di rifugio, sia per le specie maggiormente termofile durante le fasi fredde (rifugi glaciali), sia per alcune specie nordiche o montane discese con il freddo e sopravvissute solamente alle quote più alte (rifugi postglaciali). Alcuni esempi della funzione di rifugio glaciale sono la persistenza di specie terziarie come il Tasso (Taxus baccata) e l’agrifoglio (Ilex aquifolium), mentre esempi di rifugio postglaciale sono offerti da Talpa caeca, Rosalia alpina e dalla Coturnice (Alectoris graeca).

L’orientamento della catena, parallelo alla penisola, l’ha resa inoltre un vero e proprio ponte biogeografico lungo l’asse Nord-Sud durante l’alternanza di fasi glaciali e interglaciali. Qui si trova pertanto il limite biogeografico per numerosi taxa vegetali (p.es. Alnus cordata, Ophrys laicatae, Apshodeline liburnica, Thymbra capitata, Orobanche sanguinea, Orchis militaris) e animali (Coronella girondica, Neogobius nigricans, Cobitis zanandreai, Esox cisalpinus), ma anche il punto di contatto tra specie vicarianti che si sono incontrate durante la ricolonizzazione della penisola dai rifugi glaciali d’origine, talvolta ibridandosi: spiccano in questo senso le specie appartenenti all’erpetofauna (Lissotriton vulgaris/italicus, Zamenis lineatus/longissimus, Hierophis viridiflavus/carbonarius) e di insetti (Cordulegaster trinacriae/boltonii).
I rifugi glaciali costituiscono inoltre siti elettivi per l’evoluzione di specie endemiche e subendemiche, anche a causa dell’isolamento. Oltre alla già citata flora rupicola, troviamo Sempervivum riccii, Viola cassinensis e ben due specie di Iris: Iris relicta e Iris setina, la seconda strettamente esclusiva dei Volsci. Anche la fauna presenta caratteri peculiari dovuti all’esistenza di un rifugio glaciale: le popolazioni di Salamandrina di Savi (Salamandrina perspicillata) per esempio mostrano tratti genetici unici rispetto a quelle del resto d’Italia.Gli endemismi faunistici sui Monti Volsci sono associati quasi sempre ad un’altra caratteristica comune: il carsismo. La natura carbonatica della catena favorisce la fessurazione e la formazione di cavità ipogee, dove l’acqua scorre facendosi strada fino alle pianure alluvionali circostanti. Ed è proprio l’abbondanza di grotte e inghiottitoi che ha consentito l’evoluzione di una fauna troglobia notevole, rappresentata da circa 20 specie di insetti, 5 specie di aracnidi e 1 crostaceo. Il carsismo determina anche un’abbondanza di risorgive pedemontane, soprattutto lungo tutto il versante tirrenico, dove sopravvivono ecosistemi acquatici ricchissimi di specie a carattere relittuale o residuale, come l’orchidea Anacamptis palustris, l’Azzurrina di Mercurio Coenagrion mercuriale e la trota “mediterranea” (aplotipi mitocondriali ME) denominata Salmo cettii.

Perchè Monti “ Volsci” ?

I Volsci erano un antico popolo italico di lingua indoeuropea, dall’origine incerta le cui prime attestazioni si hanno nell’Appennino centrale (Val Roveto). Stabilitisi nel Lazio meridionale tra il VI e il V sec. a.C., in particolare nell’area dei Monti Lepini ed Ausoni, il loro territorio coprì progressivamente amplie porzioni del Latium Vetus e del Latium Adiectum.
Nel periodo di massima espansione il loro dominio si estendeva da Anzio a Cassino, da Velletri a Formia. Colonie e città dei Volsci erano presenti in molti luoghi che avevano ruoli strategici nei collegamenti dell’epoca come la Valle del Sacco, la Valle del Liri e la Valle dell’Amaseno. Proprio al centro delle terre dominate dai Volsci si ergono le catene dei monti Lepini, Ausoni e Aurunci, ed è per questo che dal XIX sec. alcuni storici e scrittori iniziarono ad usare “Monti Volsci” o “Catena dei Volsci” per identificare questo comprensorio montuoso, come Giuseppe Micali in “Storia degli Antichi Popoli Italiani” (1835), Octavian Blewitt in “Handbook for Travellers in Central Italy” (1843) e Ferdinand Gregorovius in “Itinerari Laziali” (1854 – 1873), tratto da “Wanderjahre in Italien”.

Perchè è importante oggi trattare i Monti Volsci come un’unica catena?

Oltre alle ragioni scientifiche e storiche che abbiamo appena visto, trattare i Monti Volsci come un’unica catena è fondamentale oggi per preservarne la ricca biodiversità che li caratterizza.
La continuità ecologica e geografica della catena richiede, infatti, una gestione comune del patrimonio naturale: attuare strategie comuni per la preservazione degli ecosistemi montani significa proteggere in maniera più consistente ogni specie che li abita, si pensi ad esempio
alla realizzazione di corridoi ecologici all’interno dell’intera catena, ossia zone di habitat che connettono tra loro popolazioni biologiche altrimenti separate da barriere o attività antropiche. Ciò consentirebbe non solo ad alcune specie di spostarsi ed avere, quindi, un habitat più grande a disposizione, ma creerebbe anche uno scambio di individui che contrasterebbe gli effetti negativi della ridotta diversità genetica delle popolazioni isolate. Inoltre, il riconoscimento della catena dei Monti Volsci come un unico macro-ecosistema pone le basi per la realizzazione in futuro di un parco naturale esteso a tutto il comprensorio e non frammentario o del tutto assente, come nel caso dei Monti Lepini, il gruppo più settentrionale della catena Volsca.

Monti Volsci – Anima Selvaggia del Lazio
Gruppo informale di volontariato per la conoscenza e la divulgazione del patrimonio naturalistico e culturale dei Monti Volsci
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